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Brega Massone, ergastolo confermato: procurò la morte di 4 anziani per interventi inutili

Ennesima conferma per l’ex primario della casa di cura Santa Rita di Milano. Consolidata la pena all’ergastolo a suo carico per aver sostenuto interventi su pazienti che non ne necessitavano, solo per poter rimborsare il sistema sanitario nazionale

Era il 9 aprile 2014 quando Pier Paolo Brega Massone, ex primario della clinica Santa Rita di Milano, è stato condannato dai giudici della Corte d’Assise d’appello di Milano, al carcere a vita con isolamento diurno per ben 3 anni per aver ucciso 4 anziani, sottoponendoli ad interventi a detta di quest’ultimi “inutili”. A spalleggiare l’ex primario anche Fabio Presicci e Marco Pansera condannati rispettivamente a 30 e 26 anni di carcere. «Non ero un serial killer, non ero egoista, non volevo fare della mia professione un guadagno», ha dichiarato il chirurgo in sua difesa. «Ho sempre agito in scienza e coscienza», ha aggiunto. Ma vane sono state le sue richieste di valutare meglio i fatti e la sua persona. E vano è stato l’atteggiamento vittimistico assunto quando ha dichiarato di aver perso 16 chili «per essere stato accusato ingiustamente» e «per essere sempre preoccupato per la salute di mia moglie e di mia figlia». In aula non hanno voluto sentire ragioni, confermando così la richiesta di ergastolo presentata dall’accusa, rendendolo privo di ogni libertà. Adesso Brega Massone, trasferito al carcere di Opera, rimane solo con i suoi pensieri e le sue preoccupazioni che non hanno suscitato alcun briciolo di dispiacere, lasciando fermamente convinti i giudici sulla risoluzione di tale processo.

Assolto Marco Pansera, riduzione per Fabio Presicci – Diversa la condanna nei confronti dei due chirurghi facenti parte dell’equipe di Brega: Marco Pansera e Fabio Presicci. Il primo è stato assolto per la felicità di amici, parenti e conoscenti presenti in aula, mentre al secondo è stata concessa una riduzione da 30 a 25 anni. Quest’ultimo si era difeso così: «Mi hanno descritto come un killer e un macellaio ma io ho sempre messo al corrente i pazienti della nostra strategia perché, quando si presentava un caso delicato, il nostro obbligo era quello di impostare una terapia. Nessuno ci ha mai chiesto che cosa provavamo quando tornavamo a casa, dopo che un paziente ci aveva lasciato e, nonostante questo, dovevamo continuare a svolgere la nostra professione». Citando anche una lettera scritta personalmente all’oncologo, nonché ex ministro, Veronesi, sperava di smuovere un po’ le coscienze dei giudici, che però anche nei suoi confronti non hanno manifestato alcuna titubanza.

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