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Hiv: ricercatore italiano primo contagiato al mondo in bio lab, è allarme nei laboratori

Virus Hiv modificato in laboratorio contagia un ricercatore. E’ stato trasportato nell’organismo del ricercatore tramite una proteina, il paziente è ancora in cura

Primo caso al mondo di ricercatore infettato da un virus dell’Aids nato in laboratorio. L’incidente è stato reso noto durante la conferenza sui retrovirus (Croi), tenuta a Boston proprio in questi giorni. La vicenda è stata raccontata in conferenza da due gruppi italiani, quello dell’ospedale San Gerardo di Monza, che ha in cura il ricercatore, e quello del laboratorio di virologia dell’Università di Roma Tor Vergata, uno dei centri più grandi d’Europa. Il ricercatore, che per questioni di privacy non ne è stato reso noto il nome, stava per donare il sangue, ma proprio durante le verifiche per stabilire che il paziente non fosse portatore di malattie, si scopre essere positivo all’Hiv. Il ricercatore inizia subito a pensare ad una possibile situazione che l’abbia portato al contagio, ma dichiara di non aver usufruito di trasfusioni o né di aver avuto rapporti sessuali particolari, ed è impossibile sia stato infettato tramite contagio da altri uomini. Ciò che emerge, appunto, è che il soggetto aveva lavorato in un laboratorio europeo, che per la privacy non è stato citato, dove si elaborano e si armeggiano virus letali.

Virus ricreato in laboratorio per esperimenti
Secondo il resoconto esposto a Boston, il primo passo è stato verificare la tipologia di virus del paziente infetto e quello costruito in laboratorio: il risultato era che il virus era identico, tale NL43 + JRFL. Dopodiché si è passato a verificare che durante gli esperimenti in laboratorio, il paziente non fosse stato punto da una siringa, o abbia avuto un guanto rotto o un qualsiasi incidente registrato che possa aver portato al contagio. Ma dalle registrazioni non era sorto nessun problema. Il ricercatore infetto lavorava in un laboratorio Bsl (Bio Safety Lab) di livello 2, numerati in ordine crescente dall’1 al 4, a seconda della pericolosità degli agenti infettivi e del tipo di ricerca. Il bio lab 2 assemblava porzioni di Rna dei virus defettivi, quindi non in grado di replicarsi, per creare modelli da studiare, utili per elaborare vaccini, test diagnostici o anche nuove ipotesi sulla malattia. I virus in questione non sono di categoria infettiva, anche perché altrimenti, di regola, sarebbero stati portati nel bio lab 4.

Il virus si è unito con una proteina
«Il ricercatore, però – spiega Carlo Federico Perno, direttore del centro di Tor Vergata – si è ritrovato a lavorare con il virus intero, che aveva l’abilità di replicarsi, e lo ha fatto a dismisura» ha spiegato il dottore in conferenza. Ciò che sembra essere successo è che quel “pezzo” di virus, assemblato con pezzi di Rna dell’Hiv vero, si è scontrata con una proteina, che si chiama G-Vsv, in grado di poter entrare in tutte le cellule del corpo umano e che ha veicolato il virus nell’organismo del paziente, infettandolo. Ha continuato il dottore: «La proteina funziona come un cavallo di Troia perché può entrare nelle cellule, contagiandole con il virus che si porta dentro. È probabile che la proteina abbia amplificato le possibilità di contagio che altrimenti il virus non avrebbe. Abbiamo ipotizzato il contagio per aerosol, attraverso le mucose, senza incidenti eclatanti». Il caso risale al 2012, ma il paziente è ancora in cura presso l’ospedale di Monza: «Il paziente zero – commenta Andrea Gori infettivologo dell’ospedale San Gerardo di Monza – per i primi tre anni non ha ricevuto terapia, nel frattempo il virus è diventato aggressivo e si stanno somministrando al paziente i farmaci del caso».

Ora l’America aumenta la sua sicurezza in laboratorio
L’incidente, che è stato reso noto solo in questi giorni, ora sconvolge ogni laboratorio che ha in studio l’Hiv. Il direttore del centro di Tor Vergata, nonché professore di Virologia della stessa Università, Carlo Federico Perno ha spiegato: «Il caso ha molto colpito la comunità medica americana anche perché gli Stati Uniti investono ancora tantissimo nella ricerca sull’Aids (nonostante il budget sia calato quest’anno da 5 miliardi di dollari a 4, ndr). E vogliono capire che cosa può succedere. Da noi non esiste il problema perché i finanziamenti in questo settore sono pari a zero». Il direttore poi conclude: «Quindi due incidenti: un virus intero e non pezzi di virus, e un laboratorio forse inadeguato per livello di sicurezza per quel tipo di intervento. Un incidente gravissimo che porterà a rivalutare le procedure così come sono state eseguite finora e a rivedere le regole di sicurezza dei laboratori di tutto il mondo».

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