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Processo Yara, la difesa di Bossetti fa la sua arringa: “Contro di lui una grande tortura”

Il 27 maggio è stato il giorno della difesa di Massimo Bossetti, unico imputato al processo per l’omicidio di Yara Gambirasio; nel corso dell’arringa, i difensori del carpentiere hanno parlato di un accanimento verso il loro assistito, “torturato letteralmente” con degli indizi basati sul nulla

L’udienza del 27 maggio del processo per l’omicidio di Yara Gambirasio è stata il giorno dell’arringa degli avvocati difensori di Massimo Bossetti, il carpentiere di Mapello unico imputato per il delitto della tredicenne di Brembate. I legali hanno esordito usando immediatamente parole forti: «Questa difesa non ha mai potuto interloquire – hanno dichiarato – e sul lavoro svolto da altri non può certo esserci chiesto un atto di fede». Il difensore di Bossetti, Claudio Salvagni, ha usato la parola “tortura” per indicare la vicenda giudiziaria del carpentiere elecando quelli che, ad avviso dei legali, sono stati dei veri e propri “colpi bassi” da parte degli investigatori e gli inquirenti: ad esempio, l’acquisizione delle lettere di corrispondenza tra Bossetti e la detenuta Gina oppure il video che ritrae un furgone, considerato appartenente al carpentiere dall’accusa, che fu subito diffuso alla stampa.

Il dna e un pensiero per Yara
«E’ un video confezionato quasi come un pacchetto dono – ha detto Salvagni – un modo per tranquillizzare la gente e per avere il mostro o il mentitore seriale». Il legale non si è risparmiato una critica verso la prova del Dna, da lui definita come “il faro” di tutta l’inchiesta su Bossetti: «Non avete giurato su un libro di biologia, ma sulla Costituzione» ha detto rivolto ai giudici invitandoli ad essere rigorosi nella valutazione della prova. In aula era presente anche la moglie dell’imputato, Marita Comi, giunta al tribunale di Bergamo con una Porsche targata Principato di Monaco. Salvagni ha poi voluto dedicare un pensiero alla piccola Yara e alla sua famiglia, considerandolo una “necessaria premessa” alla sua arringa per strappare il carpentiere dalla condanna all’ergastolo: «Prima ancora che da avvocati, ci siamo convinti da padri di famiglia che la persona che avremmo difeso non è un assassino. Il delitto ha iniettato veleno nei muscoli di Bergamo e ci ha sconvolti tutti».

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