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Roma, svolta nella morte di Sara Bosco: si indaga per omicidio, il pusher era lì e scappò

Si allarga l’inchiesta sulla morte per overdose della 16enne Sara Bosco, avvenuta lo scorso 9 giugno nei padiglioni abbandonati dell’ex ospedale Forlanini di Roma; adesso si indaga per omicidio contro un pusher afgano che le cedette la dose fatale, era lì con lei e scappò senza prestarle soccorso

Secondo gli ultimi passaggi dell’inchiesta sulla morte per overdose della sedicenne Sara Bosco, rinvenuta cadavere in un padiglione abbandonato dell’ex ospedale Forlanini a Roma, adesso si indagherebbe per omicidio volontario: il vero killer della giovanissima Sara sarebbe stato proprio il pusher che le cedette la dose fatale. Si tratterebbe di un giovane afgano, che la ragazzina conosceva già; l’imputazione è volontaria e non colposa, in quanto l’uomo le ha venduto la droga pur sapendo benissimo che si era disintossicata da un mese ed in più, stando alle ultime ricostruzioni, era lì con lei quando Sara si sentì male e fuggì senza prestarle alcun soccorso. Ma a quanto pare, ci sarebbe anche dell’altro in questa triste storia di degrado: Sara è stata rinvenuta seminuda su una lettiga arrugginita dell’ex nosocomio, il che lascerebbe supporre che avesse avuto un rapporto sessuale prima di morire.

La madre ed altri punti oscuri
Insomma, la ragazzina andava a letto con il suo pusher per pagarsi la droga, non avendo i soldi; e sembra che anche la madre della giovane, Katia Neri, ne fosse al corrente e non avrebbe fatto nulla per evitarlo. Quindi si affaccia anche l’ipotesi del reato di prostituzione minorile; e la madre rischia di essere iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di concorso in sfruttamento. La donna, che vive a Santa Severa, era stata ascoltata come persona informata sui fatti, ma leggendo il verbale si scoprono i retroscena di una triste storia di disagio, altri familiari tossicodipendenti, dipendenza e disastri affettivi.

La Neri aveva raccontato tutto agli agenti, dalla fuga di Sara dal centro di recupero perugino fino al suo ritorno al Forlanini, ma era apparsa molto reticente sui contatti quotidiani con la figlia; ma poi ammise che la giovane l’aveva contattata per tornare a casa. Ancora si indaga su molti punti oscuri, visto che la ragazzina era in realtà molto legata alla madre, quasi dipendente, ma bisogna anche trovare il pusher afgano.

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