Ha compiuto 40 anni uno dei capolavori del cinema mondiale e della filmografia di Martin Scorsese, “Taxi driver”; con un protagonista imponente come Robert De Niro, resta ancora oggi un film attualissimo capace di parlare della solitudine nelle grandi metropoli
Ieri ha compiuto quarant’anni una delle colonne portanti del cinema mondiale del dopoguerra: “Taxi driver”, diretto da Martin Scorsese ed interpretato da Robert De Niro, è uscito nel 1976, sì, ma sembra prodotto l’altro ieri. E’ ancora attualissimo sia nelle tematiche che nello stile nervoso, con una fotografia contrastata, esautorata dai colori eppure brillante e forte ai limiti della visibilità, un montaggio nervoso che si va a fare via via sempre più psicotico e disperato. Scritto da un altro grande regista, Paul Schrader, il film vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes e divenne quasi immediatamente un cult in un’America appena uscita dal disastro del Vietnam e che, allora, poteva finalmente confrontarsi con i propri fantasmi e l’innato istinto di violenza, esattamente come fa Travis nella celeberrima scena allo specchio (quella di «Ma dici a me? Stai parlando con me?», tanto per intenderci).
Un film che non invecchia mai
All’epoca, quindi, il reduce del Vietnam Travis Bickle era un’incarnazione perfetta non solo dell’America post Vietnam, ma anche di una buona fetta del mondo libero che stava uscendo dalle sbornie della contestazione e della cultura hippy ed era ormai conscio di averci guadagnato qualcosa, ma anche di aver perso per strada qualche valore fondamentale. Lo stesso Travis, che ha visto morire atrocemente i compagni e ne è uscito con i nervi scorsi, sente che ormai il mondo pare andare verso la catastrofe e nella sua follia scorgiamo quel senso di mancanza e di voglia di compensazione che ha ognuno di noi appena vede che tutto quello che conosceva non è più lo stesso. Per questo il film è un capolavoro, ti spinge ad identificarti con uno psicopatico fino alla fine e ti lascia sconvolto e con una certa paura di tè stesso. Non è un caso che riscosse un certo successo nella traumatizzata Italia degli anni di piombo. Ma la pellicola è attuale perchè riesce ancora ad emozionarci e commuoverci con la sua parabola sull’irrimediabile solitudine a cui possono condannare le grandi metropoli come New York, una solitudine talmente estraniante e totale da avere come unica valvola di sfogo il ricorso alla violenza, una disperazione che oggi si respira nella crisi economica e nella mancanza di lavoro.
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