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Bergamo, rinviato a giudizio il ‘killer dei gattini’: li torturava e seviziava fino alla morte

Prima si fingeva amante degli animali, e poi, una volta presi in adozione, li torturava e seviziava fino alla morte. L’uomo inoltre filmava le sue barbarie e inviava video e foto agli ex padroni. Per gli inquirenti è proibitivo ricostruire tutte le azioni da lui compiute

Adottava gattini fingendosi amante degli animali, ma poi li torturava e li seviziava fino alla morte. Infine mandava via WhatsApp foto e video dello scempio compiuto alle persone che, con fiducia, gli avevano ceduto gli animali. I fatti risalgono allo scorso anno, e dopo una lunga serie di denunce e indagini, le autorità sono riuscite ad identificare l’uomo, un 40enne di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo, denunciandolo a piede libero. Ora è rinviato a giudizio e il processo per uccisione e maltrattamento di animali si aprirà l’11 novembre al tribunale di Bergamo. Vi parteciperà anche l’Enpa (Ente nazionale protezione animali), che ha chiesto di costituirsi parte civile. «Qui si va ben oltre l’intolleranza o la rabbia verso gli animali. C’è un vero e proprio disegno preparato in maniera conscia, per questo ci opporremo a qualsiasi ipotesi di infermità mentale», hanno spiegato dall’associazione convinti che l’imputato commettesse i reati in maniera efferata e con premeditazione. «Se l’imputato sarà riconosciuto colpevole, auspico una condanna al massimo della pena con tutte le aggravanti del caso. Chiunque abbia compiuto gesti così efferati rappresenta un pericolo per gli animali e per le persone e va assolutamente messo nella condizione di non nuocere più», ha aggiunto Carla Rocchi, presidente nazionale Enpa.

Secondo la sconvolgente ricostruzione dei fatti, il ‘killer di gattini’ prima consultava i siti dove padroni premurosi, che per varie ragioni non avevano più la possibilità e la disponibilità di tenere con loro gli animali, cercavano persone per bene a cui affidarli, e poi, una volta presi in adozione, li torturava e seviziava mandando le immagini delle barbarie agli ex padroni, che in questo modo, oltre a sentirsi in colpa, diventavano anche vittime di stalking via WhatsApp. Per gli inquirenti è proibitivo ricostruire tutte le azioni compiute dall’uomo.

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