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Cassano Jonio: arrestati i killer del piccolo Cocò, ucciso insieme al nonno

Si tratta di Cosimo Donato e Faustino Campilongo, già detenuti a Castrovillari; sarebbero loro gli autori dell’efferato omicidio consumato nella Sibaritide il 16 gennaio 2014, in cui morirono il piccolo Nicola “Cocò” Campolongo, il nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna di quest’ultimo, Ibtissam Touss

Ieri i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare a carico di altrettanti soggetti ritenuti responsabili del triplice omicidio consumatosi il 16 gennaio 2014 a Cassano Jonio, in provincia di Cosenza, quando furono barbaramente trucidati e poi bruciati il piccolo Nicola “Cocò” Campolongo, il nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna marocchina di quest’ultimo, la 27enne Ibtissam Touss. I tre furono uccisi con diversi colpi di pistola calibro 7.65 alla testa, poi l’auto di Iannicelli, con cui erano giunti nel luogo di appuntamento con i loro assassini, fu data alle fiamme. L’omicidio sarebbe stato commesso per alcuni motivi di sgarro perchè, a quanto pare, Iannicelli, spacciatore considerato vicino alla cosca Abruzzese di Cassano, detta “degli zingari”, aveva deciso di pentirsi. Gli arrestati, già detenuti a Castrovillari per altri reati, sono Cosimo Donato, inteso “Topo”, 38 anni, e Faustino Campilongo, inteso “Panzetta”, 39 anni; i due sono accusati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere, con l’aggravante di aver commesso il delitto per agevolare l’attività della cosca Abruzzese. Iannicelli era un noto personaggio del circondario dedito al traffico di stupefacenti e un tempo era vicino alla cosca Abbruzzese, ma, negli anni 2003-2004 della faida di Cassano, era passato al clan contrapposto dei Forastefano; questi ultimi dieci anni, quindi, erano stati colmi di forti dissidi, acuitisi alla fine del 2013 quando si era sparsa la voce che Iannicelli aveva intenzione di pentirsi, ma anche di voler aprire un commercio autonomo di stupefacenti minacciando il monopolio della cosca degli zingari nella zona. Per questo motivo sarebbe stato ucciso, mentre i due killer lo avrebbero tradito; infatti, erano alle sue dipendenze per lo smercio di droga in altri paesi del circondario ed avevano inoltre contratto un grosso debito con lui per alcune forniture di stupefacenti. Iannicelli avrebbe accettato di incontrarli proprio perchè si fidava di loro, anche se aveva preferito portarsi dietro la compagna e il nipotino, che usava come “scudo” proprio per evitare tragiche conseguenze. Ma, evidentemente, in quel caso peccò di ingenuità. Forse Donato e Campilongo aspiravano a mettersi in proprio oppure avevano stipulato un accordo con qualcuno, saranno comunque le indagini a rivelarlo.

Le indagini sono state aiutate dalle dichiarazioni di alcuni testimoni di giustizia e dei familiari di Iannicelli – Un’intensa attività investigativa protrattasi per oltre un anno, anche con l’ausilio della tecnologia, ha permesso di risalire ai due assassini; tramite le dichiarazioni di alcuni testimoni di giustizia e dei familiari di Iannicelli, tutti pregiudicati, gli inquirenti hanno potuto ricostruire il prima e il dopo dell’omicidio in cui ha perso la vita il piccolo Cocò. Ulteriori conferme sono giunte dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, tutte in lingua arbereshe (il dialetto di origine albanese tipico dell’Alto Cosentino), che hanno stabilito che i due si trovavano nella zona in cui fu rinvenuta bruciata l’auto con dentro i tre corpi, ed hanno inoltre provato il movente del delitto e le dinamiche mafiose intorno a Cassano.

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