A seguito delle denunce da parte di Greenpeace, l’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata nel 1971, la Repubblica Popolare Cinese dichiara protetto l’habitat naturale del panda gigante
Il panda gigante, o panda maggiore, è un mammifero appartenente alla famiglia Ursidae. Originario della Cina centrale, si nutre di germogli di bambù, piante che muoiono dopo la fioritura. Nel suo habitat ne esistono numerose specie e ciò impedisce che esse fioriscano e muoiano allo stesso tempo; invece, nelle zone contaminate dall’intervento umano rimangono spesso pochi tipi di bambù. Il tasso di natalità del panda gigante è molto basso, sia allo stato naturale sia in cattività: la femmina alleva soltanto un piccolo e, se partorisce due gemelli, non riesce ad occuparsi di entrambi ma si occupa di uno solo. L’autorità locale ha accolto le denunce sul taglio illegale di circa mille e trecento ettari di foreste del Sichuan, da parte di Greenpeace, aprendo 15 indagini giudiziarie e 8 procedimenti amministrativi nei confronti di 22 funzionari pubblici; le denunce hanno ottenuto giustizia dopo due anni di indagini sul campo, con il telerilevamento e l’analisi delle mappe satellitari per scoprire i tagli illegali nel Santuario del Panda Gigante del Sichuan, le aree che circondano la riserva naturale nazionale del Fengtongzhai a Ya’an. La zona è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. «Grazie alle nostre indagini, abbiamo ottenuto la protezione di foreste che sono vitali per il panda. È un segnale positivo che dovrebbe costituire un primo passo per una riforma a base nazionale: un terzo delle foreste cinesi è infatti a rischio a causa di una falla nel sistema normativo», spiega Yi Lan, responsabile della campagna asiatica.
Precedenti indagini di Greenpeace avevano scoperto simili attività illegali anche nelle province dello Yunnan (2013) e dello Zhejiang (2014) e gli ambientalisti dicono che «Nonostante la normativa che dal 1998 vieta l’abbattimento degli alberi nelle foreste naturali a scopo di profitto, gli affaristi locali e le autorità si sono serviti di una scappatoia nel “Regolamento tecnico per la ricostruzione delle foreste a basso rendimento” che li autorizza a sostituire la foresta con piantagioni più redditizie in nome di una presunta “rigenerazione forestale. Abbiamo chiesto a Pechino di sanare al più presto questa falla, e continueremo a monitorare la situazione affinché la protezione di queste aree non resti solo sulla carta».
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