Il capolavoro di propaganda del cinema sovietico, ma considerato un caposaldo di quello mondiale, ha compiuto novant’anni; uscito nel 1925, è sempre piaciuto agli schieramenti di ogni colore politico per la sua forza propagandistica, citato ed anche odiato dagli addetti ai lavori
Il primo ricordo immediato è quello del disperato grido di ribellione di Ugo Fantozzi: «Per me, la corazzata Kotiomkin…è una cagata pazzesca!» che scatena gli ormai proverbiali “92 minuti di applausi” da parte degli esausti colleghi costretti ad assistere all’ennesima proiezione del Cineforum aziendale. Sono passati novant’anni da quando Sergej M. Eisenstein diresse e produsse questo film coadiuvato dal fior fiore della cinematografia russa di quegli anni; era il 1925 e il film riscosse un grandissimo successo tra la dirigenza del Partito Comunista Sovietico, al punto che Stalin, allora appena asceso al potere, decise di fare di Eisenstein il regista ufficiale dell’Urss, salvo rinnegandolo anni dopo perchè, a suo dire, era diventato troppo “sperimentalista e borghese” (sì, succede anche alle grandi menti). Ma il film fu adorato pure nella Germania nazista: per Goebbels era un ottimo esempio di cinema propagandistico e la stessa Leni Riefenstahl, omologa di Eisenstein per il regime di Hitler, pescò a piene mani da questo film per creare i suoi magniloquenti documentari sul Furher. Insomma, il film è tutt’altro che una cagata pazzesca: immenso nella sua forza delle immagini e nella scene di folla (non c’è un protagonista, ma una massa collettiva) ed innovativo nel suo montaggio analogico (altro bersaglio fantozziano), il quale in realtà si può considerare un precursore dei videoclip e di Mtv, soprattutto nel successivo film di Eisenstein, “Ottobre”.
Un omaggio al popolo
Il film rievoca un episodio della fallita rivoluzione russa del 1905 (anticipatrice di quella, riuscita, del 1917), quello dei marinai della corazzata Potemkin che si ammutinano e ricevono il sostegno della popolazione della città di Odessa sul mar Nero, poi repressa nel sangue dall’esercito zarista; in realtà, le cose andarono molto diversamente, ma poco importa. Per Eisenstein doveva essere un coacervo di tutti i sani valori rivoluzionari russi, vera espressione di quegli eroi collettivi che portarono alla vittoria della dittatura del proletariato; non c’è un eroe che guida gli altri, ci sono masse perfettamente distinguibili (i marinai, la popolazione, i militari) composta da attori non professionisti che nella loro immediatezza catturano lo spettatore più di un attore accuratamente truccato. E poi, c’è la leggendaria e citatissima scena della scalinata di Odessa (sì, quella della “carrozzella col bambino” e dell’occhio della madre”); a dispetto della presa in giro, è una sequenza ricca di suspense e indignazione, tra i cadaveri sugli scalini, i militari glaciali che uccidono e travolgono senza distinzione uomini e animali, il dettaglio della donna colpita in un occhio che perde sangue e, naturalmente, la carrozzina che si capovolge con un neonato dentro mentre la madre, colpita al ventre, muore atrocemente. Una scena citata in chiave thriller da Brian De Palma ne “Gli Intoccabili” (e qui, per fortuna, non muore nessun bambino) e poi vituperata e successivamente rifatta da Fantozzi e colleghi nel 1976. E’ chiaro, resterà sempre un film di propaganda, ma l’accurata messa in scena riesce a mettere in secondo piano l’ideologia. E’ ora che film del genere siano visti con la mente sgombra da pregiudizi.
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