La Cassazione ha reso note le motivazioni della sentenza che assolve definitivamente l’ex Capo dei capi Totò Riina dall’accusa di omicidio per la morte del giornalista dell’Ora, scomparso misteriosamente il 16 settembre 1970
La prima sezione penale della Cassazione ha reso note le motivazioni della sentenza del 4 giugno scorso, con la quale ha rigettato il ricorso presentato dal pg di Palermo, dai familiari di De Mauro e dall’Ordine dei giornalisti della Sicilia contro il verdetto di assoluzione del 2014, emesso dalla Corte d’Assise d’appello del capoluogo siciliano, nei confronti dell’ex Capo dei capi di Cosa Nostra Totò Riina, accusato di essere il mandante dell’omicidio del cronista del giornale siciliano “L’Ora”, misteriosamente scomparso il 16 settembre 1970 e il cui cadavere non è mai stato più ritrovato. «Il lungo, complesso e approfondito iter processuale ha infine consentito di accertare che l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro fu deciso ed eseguito da uomini di Cosa Nostra e che la motivazione è individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso nell’ambito della sua attività professionale, verosimilmente riconducibili al coinvolgimento di alcuni esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei e non alla vicenda relativa al tentativo di golpe denominato “Borghese”» si legge nelle motivazioni.
Riina scagionato completamente dalle prove
A proposito dell’assoluzione di Totò Riina, la Suprema Corte ha posto in evidenza che «gli elementi di prova raccolti sono stati accuratamente analizzati e valutati da tutte le sentenze di merito (Riina fu infatti assolto anche in primo grado nel 2011, n.d.r.) e, nonostante la disamina scrupolosa che costituisce il risultato congiunto delle ampie argomentazioni spese dalle Corti territoriali di primo e secondo grado, non hanno tuttavia permesso di accertare un ruolo diretto o indiretto dell’imputato nel delitto De Mauro». Quindi, è la conclusione dei giudici del “Palazzaccio”, l’assoluzione è coerente ad una corretta lettura delle emergenze processuali ed è perciò incensurabile in sede di legittimità.
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